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Jesolo,lì 29/04/2024   21:54:53

 
Visite fiscali a domicilio anche per gli infortuni sul lavoro


Ampliando le correnti modalità di controllo nei confronti del lavoratore assente per infortunio, la Corte di Cassazione ha ritenuto legittima la facoltà di esercitare le visite fiscali al domicilio del dipendente. Con la recentissima sentenza (sezione lavoro n. 15773/2002) la Corte ha respinto il ricorso presentato da un dipendente Telecom che si era visto comminare due sanzioni disciplinari a causa della reiterata assenza dalla propria abitazione in occasione di quattro visite di controllo disposte in corso di degenza domiciliare a causa di infortunio sul lavoro. Il dipendente lamentava innanzi all’organo giudicante e nei vari gradi di giudizio che l’azienda aveva applicato la disposizione prevista dal contratto collettivo in materia di malattia, in assenza di un’analoga disposizione contrattuale in materia di infortuni.
La posizione assunta dal lavoratore era stata già respinta in sede pretorile, e successivamente anche respinta in appello. L’art. 14, comma 3 Cost. prevede una generale riserva di legge per la disciplina dei controlli delle infermità del lavoratore (gli accertamenti e le ispezioni … sono regolati da leggi speciali). E, come osservato dalla dottrina, l’art. 5, comma 2, legge 20 maggio 1970, n. 300 (il controllo delle assenze per infermità può essere effettuato soltanto attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, i quali sono tenuti a compierlo quando il datore di lavoro lo richieda) ha soddisfatto questa riserva. Ed è incontrastato che la norma, disciplinando il controllo delle assenze per infermità (quale temporaneo impedimento), riguardi anche l’ipotesi in cui l’infermità dipenda da infortunio sul lavoro. Ad una più specifica finalità, poi, sono dirette le cd. fasce orarie di reperibilità. Introdotte (con norma programmatica) dall’accordo interconfederale del 26 gennaio 1977, applicate poi ad alcuni contratti collettivi nazionali di lavoro (come in materia tessile), le fasce orarie sono state legislativamente previste, quale formale attuazione del protocollo triangolare (di intesa sul costo del lavoro) del 22 gennaio 1983 (attuazione diretta a contrastare il contingente fenomeno dell’assenteismo per micromobilità pretestuosa), solo per le infermità determinate da malattia: non per quelle determinate da infortuni sul lavoro. Il limite discende dalla specifica lettera (controllo dello stato di malattia) dell’art. 5, comma 10 del decreto legge 12 settembre 1983, n. 463 (convertito in legge 11 novembre 1983, n. 638), che, richiamando lo stato di malattia previsto dai precedenti commi, si estende tacitamente alle successive disposizioni , le quali, pur non contenendo questo espresso riferimento limitativo, formano, con le precedenti, un’unitaria disciplina. In tal modo, questa disciplina non è direttamente applicabile nell’ipotesi in cui l’assenza del lavoratore sia causata da infortunio sul lavoro (di questa interpretazione limitativa, tuttavia, una parte della dottrina dubita, ritenendo che, per la genericità e per l’ampiezza della locuzione normativa e per la loro generale finalità, l’art. 5 commi 12 e 12-bis e 14 dell’indicato decreto legge ed i conseguenti decreti ministeriali disciplinino anche i controlli delle assenze per infortunio sul lavoro).In questi limiti, ed in applicazione dell’art. 384, comma 2 cod. proc. civ., la motivazione della sentenza impugnata deve essere corretta, nella conferma della decisione, che è conforme al diritto. Pur in presenza di un diverso orientamento precedente della stessa Corte (2 giugno 1988, n. 5414) è stato ritenuto che l’obbligo di disponibilità del lavoratore assente per infortunio sul lavoro, pur non direttamente disciplinato dalle fasce orarie previste dall’indicata normativa, è legittimamente regolabile dal controllo collettivo Ciò discende in primo luogo dall’oggetto di quest’obbligo. Per tale oggetto, le fasce orarie disciplinate dalle disposizioni precedentemente indicate (ed ogni altra, pur disciplinata da norma collettiva) non rientrano nello spazio della riserva di legge, costituzionalmente garantita. Inoltre, questa riserva attiene all’accertamento in sè, come attività dell’organo che ha la relativa funzione; la sua ragione normativa è la natura invasiva dell’accertamento, nei confronti della sfera del singolo: la positiva penetrazione in uno spazio (l’infermità, nonché il corpo e la mente, che ne sono sede), il quale, riguardando, come sofferta intimità, la dignità dell’individuo (anche se nei suoi potenziali riflessi familiari, professionali e sociali), esige adeguata corrispondente riservatezza.
Ed è ben evidente la necessità che questa penetrazione sia regolata da una norma di legge: adeguata attuazione della riserva e della relativa ragione, la legge ha poi assegnato la gestione dell’accertamento ad un istituto pubblico, al fine di garantire la necessità e le modalità. La disponibilità nelle fasce orarie previste per la visita di controllo ha un diverso più limitato oggetto: il comportamento del lavoratore (rendersi reperibile in particolari limitati spazi della giornata, per consentire la visita), quale fatto propedeutico, necessario per l’accertamento. Il controllo è un fatto attivo nei confronti del singolo; la responsabilità è un fatto passivo (del singolo) nei confronti del controllo. Da altra angolazione, è poi da osservare che la disciplina delle fasce orarie non solo non rientra nell’indicata preclusione, bensì è fondata su una doverosa disponibilità del lavoratore al controllo dell’infermità. Tale controllo è un diritto del datore, previsto dall’art. 5, comma 2 della legge 20 maggio 1970, n. 300; e questi, creditore della prestazione, ha indubbio interesse ad accertare non solo la giustificazione della temporanea sospensione dell’adempimento adottata dal lavoratore, bensì la situazione patologica del lavoratore stesso, quale potenziale fattore di una propria responsabilità. A tale diritto corrisponde il simmetrico obbligo del lavoratore. Le fasce orarie (quali temporale delimitazione dell’obbligo) costituiscono, come anche la dottrina ha osservato, una prescrizione a favore del lavoratore. Quest’obbligo di reperibilità è poi parte del più generale obbligo di correttezza e buona fede, connesso a tutto lo svolgimento delle obbligazioni scaturenti dallo svolgimento del rapporto. In questo quadro è da collocare anche la disponibilità che, pur non espressamente prevista da una specifica disposizione di legge, il lavoratore deve offrire per consentire l’attuazione del diritto, del datore, di ottenere (attraverso l’intervento degli istituti di previdenza) il controllo dell’infermità causata da infortunio sul lavoro. E, poiché l’unico necessario strumento per attuare il diritto della controparte è questa disponibilità, il relativo obbligo assume una consistenza più intensa della mera leale collaborazione. E la norma collettiva che disciplina questa disponibilità, limitando il generale obbligo entro ristretti limiti temporali (dovere che Corte Cost. n. 78 del 1988 ritiene attuabile con un minimo di diligenza e di disponibilità, atteso l’ambito molto limitato delle fasce orarie di reperibilità, per cui non risulta nemmeno gravoso o vessatorio), è una legittima specificazione nell’interesse dello stesso lavoratore.

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