Visite
fiscali a domicilio anche per gli infortuni sul lavoro
Ampliando le correnti modalità di controllo nei
confronti del lavoratore assente per infortunio, la Corte di Cassazione
ha ritenuto legittima la facoltà di esercitare le visite fiscali al
domicilio del dipendente. Con la recentissima sentenza (sezione lavoro
n. 15773/2002) la Corte ha respinto il ricorso presentato da un
dipendente Telecom che si era visto comminare due sanzioni disciplinari
a causa della reiterata assenza dalla propria abitazione in occasione di
quattro visite di controllo disposte in corso di degenza domiciliare a
causa di infortunio sul lavoro. Il dipendente lamentava innanzi
all’organo giudicante e nei vari gradi di giudizio che l’azienda
aveva applicato la disposizione prevista dal contratto collettivo in
materia di malattia, in assenza di un’analoga disposizione
contrattuale in materia di infortuni.
La posizione assunta dal lavoratore era stata già respinta in sede
pretorile, e successivamente anche respinta in appello. L’art. 14,
comma 3 Cost. prevede una generale riserva di legge per la disciplina
dei controlli delle infermità del lavoratore (gli accertamenti e le
ispezioni … sono regolati da leggi speciali). E, come osservato dalla
dottrina, l’art. 5, comma 2, legge 20 maggio 1970, n. 300 (il
controllo delle assenze per infermità può essere effettuato soltanto
attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti,
i quali sono tenuti a compierlo quando il datore di lavoro lo richieda)
ha soddisfatto questa riserva. Ed è incontrastato che la norma,
disciplinando il controllo delle assenze per infermità (quale
temporaneo impedimento), riguardi anche l’ipotesi in cui l’infermità
dipenda da infortunio sul lavoro. Ad una più specifica finalità, poi,
sono dirette le cd. fasce orarie di reperibilità. Introdotte (con norma
programmatica) dall’accordo interconfederale del 26 gennaio 1977,
applicate poi ad alcuni contratti collettivi nazionali di lavoro (come
in materia tessile), le fasce orarie sono state legislativamente
previste, quale formale attuazione del protocollo triangolare (di intesa
sul costo del lavoro) del 22 gennaio 1983 (attuazione diretta a
contrastare il contingente fenomeno dell’assenteismo per micromobilità
pretestuosa), solo per le infermità determinate da malattia: non per
quelle determinate da infortuni sul lavoro. Il limite discende dalla
specifica lettera (controllo dello stato di malattia) dell’art. 5,
comma 10 del decreto legge 12 settembre 1983, n. 463 (convertito in
legge 11 novembre 1983, n. 638), che, richiamando lo stato di malattia
previsto dai precedenti commi, si estende tacitamente alle successive
disposizioni , le quali, pur non contenendo questo espresso riferimento
limitativo, formano, con le precedenti, un’unitaria disciplina. In tal
modo, questa disciplina non è direttamente applicabile nell’ipotesi
in cui l’assenza del lavoratore sia causata da infortunio sul lavoro
(di questa interpretazione limitativa, tuttavia, una parte della
dottrina dubita, ritenendo che, per la genericità e per l’ampiezza
della locuzione normativa e per la loro generale finalità, l’art. 5
commi 12 e 12-bis e 14 dell’indicato decreto legge ed i conseguenti
decreti ministeriali disciplinino anche i controlli delle assenze per
infortunio sul lavoro).In questi limiti, ed in applicazione dell’art.
384, comma 2 cod. proc. civ., la motivazione della sentenza impugnata
deve essere corretta, nella conferma della decisione, che è conforme al
diritto. Pur in presenza di un diverso orientamento precedente della
stessa Corte (2 giugno 1988, n. 5414) è stato ritenuto che l’obbligo
di disponibilità del lavoratore assente per infortunio sul lavoro, pur
non direttamente disciplinato dalle fasce orarie previste
dall’indicata normativa, è legittimamente regolabile dal controllo
collettivo Ciò discende in primo luogo dall’oggetto di
quest’obbligo. Per tale oggetto, le fasce orarie disciplinate dalle
disposizioni precedentemente indicate (ed ogni altra, pur disciplinata
da norma collettiva) non rientrano nello spazio della riserva di legge,
costituzionalmente garantita. Inoltre, questa riserva attiene
all’accertamento in sè, come attività dell’organo che ha la
relativa funzione; la sua ragione normativa è la natura invasiva
dell’accertamento, nei confronti della sfera del singolo: la positiva
penetrazione in uno spazio (l’infermità, nonché il corpo e la mente,
che ne sono sede), il quale, riguardando, come sofferta intimità, la
dignità dell’individuo (anche se nei suoi potenziali riflessi
familiari, professionali e sociali), esige adeguata corrispondente
riservatezza.
Ed è ben evidente la necessità che questa penetrazione sia regolata da
una norma di legge: adeguata attuazione della riserva e della relativa
ragione, la legge ha poi assegnato la gestione dell’accertamento ad un
istituto pubblico, al fine di garantire la necessità e le modalità. La
disponibilità nelle fasce orarie previste per la visita di controllo ha
un diverso più limitato oggetto: il comportamento del lavoratore
(rendersi reperibile in particolari limitati spazi della giornata, per
consentire la visita), quale fatto propedeutico, necessario per
l’accertamento. Il controllo è un fatto attivo nei confronti del
singolo; la responsabilità è un fatto passivo (del singolo) nei
confronti del controllo. Da altra angolazione, è poi da osservare che
la disciplina delle fasce orarie non solo non rientra nell’indicata
preclusione, bensì è fondata su una doverosa disponibilità del
lavoratore al controllo dell’infermità. Tale controllo è un diritto
del datore, previsto dall’art. 5, comma 2 della legge 20 maggio 1970,
n. 300; e questi, creditore della prestazione, ha indubbio interesse ad
accertare non solo la giustificazione della temporanea sospensione
dell’adempimento adottata dal lavoratore, bensì la situazione
patologica del lavoratore stesso, quale potenziale fattore di una
propria responsabilità. A tale diritto corrisponde il simmetrico
obbligo del lavoratore. Le fasce orarie (quali temporale delimitazione
dell’obbligo) costituiscono, come anche la dottrina ha osservato, una
prescrizione a favore del lavoratore. Quest’obbligo di reperibilità
è poi parte del più generale obbligo di correttezza e buona fede,
connesso a tutto lo svolgimento delle obbligazioni scaturenti dallo
svolgimento del rapporto. In questo quadro è da collocare anche la
disponibilità che, pur non espressamente prevista da una specifica
disposizione di legge, il lavoratore deve offrire per consentire
l’attuazione del diritto, del datore, di ottenere (attraverso
l’intervento degli istituti di previdenza) il controllo
dell’infermità causata da infortunio sul lavoro. E, poiché l’unico
necessario strumento per attuare il diritto della controparte è questa
disponibilità, il relativo obbligo assume una consistenza più intensa
della mera leale collaborazione. E la norma collettiva che disciplina
questa disponibilità, limitando il generale obbligo entro ristretti
limiti temporali (dovere che Corte Cost. n. 78 del 1988 ritiene
attuabile con un minimo di diligenza e di disponibilità, atteso
l’ambito molto limitato delle fasce orarie di reperibilità, per cui
non risulta nemmeno gravoso o vessatorio), è una legittima
specificazione nell’interesse dello stesso lavoratore.
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